«Il fatto che delle persone passassero attraverso la decadenza della civiltà e della cultura e facessero sorgere nuovi canti, mi parve una materia attraente, e così un giorno, mentre ascoltavo il coro finale dei Carmina Burana, mi venne in mente che questo avrebbe potuto essere l’oggetto del mio prossimo film». Così scrive Ingmar Bergman nella sua autobiografia a proposito di uno dei suoi film più iconici: Il settimo sigillo.
In poche battute il grande cineasta svedese coglie il nucleo dei Carmina Burana (la silloge, così chiamata perché rinvenuta nel monastero bavarese di Bura Sancti Benedicti, di poesie scritte in latino e in medio-alto tedesco, databile tra la fine del XII secolo e i primi decenni del XIII), vale a dire la irriducibile giovinezza di un continente che, anche nei passaggi d’epoca più traumatici, non ha mai smesso di progettare il futuro attingendo alla propria tradizione culturale. Autori dei carmina furono i clerici vagantes, giovani appartenenti all’ordo clericalis per aver ricevuto gli ordini minori che si spostavano da una sede universitaria all’altra – in questo periodo, infatti, sorgono le prime universitas studiorum – per frequentare le lezioni di illustri maestri, animati da una genuina passione per il sapere. Elogio della primavera quale periodo di rinnovamento ed esaltazione dei piaceri sensuali dell’esistenza, tra i quali vanno annoverati l’amore, il vino e il gioco: questi i temi trattati, con una varietà di accenti, di registri e di citazioni pressoché inesauribile.
Carl Orff (1895-1982) ne trasse nel 1937 una cantata scenica dal linguaggio immediatamente comunicativo, dove un inesausto ritmo di danza e una tessitura dai colori arcaizzanti creano un’aura ora dionisiaca, ora magica, ora giocosa. Apre e chiude la cantata l’inno alla Fortuna Imperatrix mundi, intesa come forza irresistibile che governa con scettro di ferro la sorte di ognuno. Se si considera l’anno della composizione, è temerario scorgere in questo movimento ciclico, che sembra stritolare con mano impietosa quanto di bello e di buono è stato cantato nel frammezzo, un commiato a quel principio spirituale che fu l’Europa?