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Autore: Matteo Catani

Aperitivi Culturali: il programma dell’edizione 2014

Dal 2006 gli Aperitivi Culturali, organizzati dall’Associazione Sferisterio Cultura, sono “dentro” e “fuori” la stagione lirica: scavano in profondità i temi delle opere e del festival ma cercano anche altri approcci e linguaggi per dimostrare come la filosofia, l’arte, il diritto, la storia, la letteratura, siano influenzati e influenzino l’opera lirica.
Salvo che per la prima settimana, in cui gli aperitivi si svolgono in occasione delle due prime e della festa per il 50 anniversario della stagione lirica maceratese, tutti i giovedì, venerdì, sabato, e domenica degli altri tre week-end del festival, alle ore 12 agli Antichi Forni, va in scena la “contaminazione culturale” seguita da una degustazione di prodotti tipici offerti dai nostri sponsor.

Il tema del festival L’opera è donna è declinato con moltissimi titoli al femminile: dalle eroine delle tre opere in cartellone all’approccio al femmineo di Verdi e Puccini.
Per le prime delle tre opere (18, 19 e 26 luglio) insieme ai grandi musicologi delle testate nazionali (Moreni del Sole 24ore, Foletto di Repubblica e Girardi del Corriere della Sera) ci saranno anche le tre direttrici d’orchestra, insieme ai registi dei nuovi allestimenti (Micheli per Aida e Ripa di Meana per Tosca). Aida, che apre la stagione (come nel 1921) verrà raccontata anche nel suo esordio al Cairo (2 agosto) con l’egittologa Marielena Paniconi.
Il filosofo Salvatore Natoli (27 luglio) e il musicologo Quirino Principe (8 agosto) scioglieranno il dilemma della presenza femminile nell’opera: trionfo o distruzione? Un altro filosofo Andrea Panzavolta ci racconterà il rapporto tra il potere e la religione in Tosca (24 luglio), mentre il direttore artistico della Sagra Musicale Umbra, Alberto Batisti si soffermerà sullo strazio di Amneris tradita (31 luglio). Jacopo Pellegrini del Foglio, per la prima volta agli aperitivi, ci parlerà di Puccini e…le donne (25 luglio).

Dedicato a Verdi e alla sua donna (Giuseppina Strepponi) l’aperitivo con Gabriele Cesaretti (1 agosto).
La divina Fiorenza Cedolins, con il regista di Traviata, Henning Brockaus, ricorderanno il maestro Massimo De Bernart (che tante volte è stato sul podio dello Sferisterio) a dieci anni dalla morte (3 agosto).
Le foto di Amedeo Balelli e i ricordi del giornalista Fabio Brisighelli per il cinquantesimo (20 luglio) e un aperitivo speciale per Anita Cerquetti (7 agosto) con la giornalista Elena Filini.
Federico Moccia (9 agosto) ci ricorderà che la gelosia (tema presente in tutte e tre le opere) non passa mai di moda (come il triangolo amoroso!).
Il nostro slogan chi sa solo d’opera non sa niente d’opera rimane dunque sempre valido ed attuale.

Aperitivi Culturali: 15 nuovi incontri

Il tradizionale appuntamento degli Aperitivi culturali, organizzato da Sferisterio Cultura e diretto da Federica Frontini e Cinzia Maroni torna con 15 nuovi incontri, sempre alle 12 agli Antichi Forni: un momento dedicato alla cultura e al dibattito, accompagnato dal buon vino delle migliori cantine marchigiane.

Il primo aperitivo è venerdì 18 luglio con Aida e Amneris, esotiche rivali. La giornalista esperta musicologa Carla Moreni intervista Julia Jones, la britannica direttrice d’orchestra dell’Aida. Un giornalista e critico musicale, Angelo Foletto, una direttrice d’orchestra, Eun Sun Kim, e un regista, Franco Ripa di Meana, dibattono il 19 luglio il tema Tosca, L’arte di farsi amare, mentre Emanula Balelli, del centro studi Carlo Balelli, dialoga con il giornalista Fabio Brisighelli, 50 anni sotto le stelle, il 20 luglio, tracciando il lungo percorso dell’opera allo Sferisterio, dal 1921 ad oggi.

Giovedì 24 è la volta di Andrea Panzavolta con Diabolus in ecclesia. Potere e religione in Tosca, mentre venerdì 25 Jacopo Pellegrini parla del tema L’opera è donna? Figurarasi il compositore (Puccini). Sabato 26 luglio Speranza Scappucci, la direttrice d’orchestra della Traviata, è intervistata dal musicologo milanese Enrico Girardi; si discute delle protagoniste delle maggiori opere, Manon, Marie, Marguerite, Violetta: così fan tutte?. Chiude la settimana Salvatore Natoli che presenta le donne nell’opera di Verdi, Il femminile nella drammaturgia verdiana.

Il giorno della Notte dell’opera, il 31 luglio, Alberto Batisti, critico musicale, docente universitario e direttore artistico di vari teatri italiani, dialoga su Amneris, la donna spezzata, mentre il giorno seguente il giornalista esperto di opera lirica Gabriele Cesaretti propone l’incontro dal titolo Lady Verdi. Il 2 agosto è in cartellone l’aperitivo La mise en scène della modernità egiziana, con Mariaelena Paniconi, docente di Lingua e letteratura araba presso l’Università degli studi di Macerata, mentre domenica 3 agosto il soprano Fiorenza Cedolins dialoga con il regista tedesco Henning Brockaus su De Bernart, la bacchetta magica.

Si arriva all’ultima settimana di appuntamenti del Festival, anche questa ricca di grandi nomi. Giovedì 7 agosto Elena Filini, musicista, docente e critico musicale, parla della vita e dell’arte di Anita Cerquetti con L’altra Norma. Distruzione e trionfo della femminilità è il titolo dell’incontro di venerdì 8 agosto con il musicologo Quirino Principe, ospite che ama fare tappa a Macerata per questa rassegna, mentre sabato 9 lo scrittore Federico Moccia conversa sul tema La gelosia non passa mai di moda.
La chiusura, ed anche questa è tradizione, spetta al direttore artistico. Domenica 10 agosto Francesco Micheli saluta la Cinquantesima stagione lirica con Se quel guerrier io fossi…

La gelosia non passa mai di moda

Tra gli Aperitivi Culturali in programma, spicca quello di sabato 9 agosto con lo scrittore e regista Federico Moccia dal titolo La gelosia non passa mai di moda. L’autore di Tre metri sopra al cielo, che ha trattato il tema nei suoi due ultimi lavori, ha anticipato come «la gelosia sia un limite che non ci permette di amare fino in fondo una persona, un amore estremo nei confronti di noi stessi, una inquietudine che non trova appagamento e che rischia di sconfinare nel machismo, come purtroppo dimostrano i recenti fatti di cronaca». Un sentimento per l’autore di natura maschile, almeno nella sua dimensione patologica, «la gelosia delle donne è spesso più sana, dettata dal cuore e non da qualche paura recondita». Eppure, tra i numerosi personaggi della sua bibliografia, quello con cui nota un parallelismo più forte con Violetta è proprio un uomo: Nicco, il giovane protagonista di Quell’attimo di felicità e del sequel Sei tu.

L’amore è il tema predominante anche del best seller Tre metri sopra al cielo nel quale, come ne La traviata anche se per motivi diversi, i due protagonisti non restano insieme «un finale forte, simile per certi versi agli epiloghi delle opere più importanti. Amore e gelosia restano comunque due componenti che si possono alternare ma che dovrebbero essere scollegate: il vero amore è quello che rende liberi» conclude Moccia.

Francesco Micheli e le Drag Queen agli Aperitivi culturali

MACERATA. L’associazione Sferisterio Cultura in collaborazione con il Comune di Macerata e con l’Amat organizza, in occasione della messa in scena al  Teatro Lauro Rossi  de Il Giardino delle Cilegie  con le Nina’s Drag Queen dirette da Francesco Micheli, un Aperitivo Culturale agli Antichi Forni il 9 aprile alle ore 17.

La trasformazione  del capolavoro di Cechov in una vaudeville en travesti in cui tutti i personaggi femminili sono interpretati da drag queen offre l’occasione per una riflessione a tutto tondo dell’idea del femminile  nel teatro. Un’occasione ghiotta per gli Aperitivi Culturali  che da sempre si muovono sul terreno delle contaminazioni culturali al fine di leggere in maniera complessa  i fenomeni artistici.

Parteciperà all’incontro, coordinato da Cinzia Maroni,  oltre a Francesco Micheli e alle Nina’s Drag Queen anche la filosofa Monia Andreani. Il tema è quello del femminile a teatro dalla tragedia greca alle Drag Queen, passando per Shakespeare.

Gli uomini hanno interpretato personaggi femminili in teatro fino al Settecento perché era proibito alle donne calcare le scene. L’opera  lirica le ha sostituite con i castrati. Che cosa hanno in comune le odierne opere en travesti con le antiche rappresentazioni?

Il Giardino delle Ciliegie offre anche l’occasione per parlare del tema della stagione lirica di quest’anno l’opera è donna nel quale il femminile  la fa da padrone e per anticipare alcuni dei temi che saranno al centro degli Aperitivi Culturali estivi.

Come sempre, al termine, l’aperitivo culturale quello gastronomico con le eccellenze locali.

Azucena, madre e matrigna

MACERATA. Cominciamo dall’inizio e per ordine questo gioco di inseguimento dietro la “vera” Azucena. Vera? Ma sì non pretendiamo di dire la sua vera natura, ma di ruotare attorno all’ipotesi del titolo, “madre e matrigna” con un atteggiamento filosofico. Azucena non ha bisogno di presentazioni anche perché lo fa molto bene da sola: “D’una zingara è costume mover senza disegno il passo vagabondo, ed è suo tetto il ciel, sua patria il mondo”. Queste parole non dicono niente di più e niente di meno di quello che possiamo immaginare di una gitana del medioevo, ma ci fanno conoscere un dato molto significativo – lei è sola, solamente una zingara – non c’è un uomo al suo fianco, non è la donna di nessuno… E per il medioevo – epoca in cui è ambientata la vicenda – o per l’Ottocento – epoca in cui Gutierrez prima ma soprattutto Verdi poi rendono eterna questa storia – questo non è un particolare secondario. Chi può andare in giro senza essere la donna di qualcuno? La stessa domanda se la pone Virginia Woolf in Una stanza tutta per sé a proposito di una ipotetica sorella di Shakespeare. Solo una donna che non ha alcuna rispettabilità familiare da mantenere, una donna che si trova in una situazione di marginalità e per questo di fronte ad una paradossale libertà e contestuale pericolo. Azucena, la figlia della “abietta zingara” non ha vita facile, anzi sin dalla giovane età è perseguitata anche se non appare un personaggio debole e vittimizzato, ma forte e coraggioso.

Azucena significa in spagnolo “giglio candido” che è il fiore della Madonna. E proprio di tradizione mariana non ha nulla una donna che è sostanzialmente un’infanticida, sembra somigliare di più ad una figura antagonista di ogni materno “positivo” inteso come oblativo, eppure c’è in lei qualcosa di mariano in senso virginale, di puro, di intoccato e di incompiuto che la rendono proprio una figura a sé, senza contorni definiti, senza disegno possibile, senza un esito prevedibile – non una madre e forse non una matrigna.

Una madre non getta per sbaglio il proprio figlio nel rogo al posto di un altro… una madre “cattiva” può uccidere il proprio figlio per un motivo – è Medea il prototipo di questo tipo di madre – ma come è possibile compiere uno sbaglio di questo genere? L’incongruenza del libretto è palese… come palese il “pasticcio” nel momento fatidico in cui lei rivela a Manrico – cresciuto come suo figlio – che il giorno in cui gli uomini del Conte stavano uccidendo la madre nel rogo, lei ha gettato nello stesso rogo il proprio figlio per un fatale errore mentre il figlio del nemico era rimasto in vita. Una Medea dopo tale evento avrebbe ucciso anche l’altro bambino. Tale considerazione è supportata anche dal vivido ricordo della scena della Medea/Callas di Pasolini che fa a pezzi il proprio fratello e lo getta dal carretto per ritardare la rincorsa dell’esercito paterno nei confronti dei Greci cui si è alleata. Azucena ha, invece, un’insolita pietas per il bambino che è figlio di chi ha ucciso sua madre e lo cresce come proprio, ma più che un figlio lei si fa un alleato fedele che la sosterrà sempre morendo al suo posto, senza conoscere mai la propria vera identità.

Azucena non può essere madre perché lei è prima di tutto e sempre fatalmente figlia della zingara uccisa, e in preda ad un’ossessione quasi amletica che diffonde a tutta l’opera il fantasma della madre la insegue chiedendo vendetta. E se la modernità al maschile comincia con Amleto, la modernità al femminile può cominciare con una Azucena? La metà dell’Ottocento è, del resto, il momento in cui il movimento di emancipazione delle donne diventa forte in tutta Europa e presenta nuovi modelli di libertà e di autonomia.

Ma vorrei chiudere questo estratto con un’osservazione generale a partire da una tra le diverse peculiarità del Trovatore di Giuseppe Verdi, della trilogia popolare l’opera più romantica da un lato, e la più belcantista dall’altro. La nuova generazione romantica aveva la forte tendenza di voler superare la “forme” della tradizioni e, nell’opera, la struttura dei numeri ben descritta da Abramo Basevi; la storia cimiteriale e cupa, dominata da amore e vendetta e dal fuoco della passione e della morte violenta corrisponde perfettamente e forse in modo un po’ carico alla richiesta romantica ma cozza profondamente con la perfezione dei numeri che rispondono alla “solita forma” donizettiana in un Verdi che sta virando verso le opere della sua seconda grande fase creativa.

Tutto stride (come la vampa) ma è bellissimo nella sua forma chiusa e musicalmente magistrale. Anche qui è Azucena che ci rimanda ad un’eccezione, che svela come la donna nuova e incompiuta, quella modernità femminile che non può avere disegno, apre di fatto la frattura e fa emergere l’incongruenza. La cavatina di presentazione del personaggio principale dell’opera, che non è Manrico/Trovatore ma la zingara Azucena, non sembra seguire perfettamente la “solita forma” e “Stride la vampa” appare più come una ballata romantica, una narrazione di un passato ancora presente fatta da una donna completamente invasata e ferma a quel momento che le ha cambiato la vita. Il fatto che la scena preveda la presenza di Manrico e di un fuoco acceso rende ancora più vivace il ritorno al fatidico momento in cui una ragazzina ha visto uccidere la madre che non aveva colpa ai suoi occhi e per vendetta ha ucciso un figlio che probabilmente non aveva voluto e con esso ha riscattato la libertà di potersi vendicare con l’aiuto di un alleato cresciuto come figlio dentro lo stesso schema valoriale di libertà e senza disegno.

Vendetta che si consuma nell’opera senza pianificazione da parte della zingara, senza che lei preveda sacrifici e morte, senza che faccia nulla per uccidere o far morire. “Stride la vampa” poi si trasforma in un duetto che prevede parti difficilmente riconoscibili come “tempo di mezzo” e “cabaletta o stretta” perché Azucena non abbandona mai la sua eccezionalità per rientrare negli schemi emozionali che si addicono alla “cabaletta”… infatti la sola voce che parla durante il racconto è quella della fatale madre perduta che pronuncia un sol cenno rivolta alla figlia: “mi vendica!” e così tutta l’opera ruota attorno a tale vendetta compiuta con la complicità inconsapevole dell’amore romantico osteggiato dall’uomo di potere cattivo e violento che ucciderà e indurrà al suicidio e forse si farà fuori a sua volta lasciando Azucena, la donna non inquadrabile in alcuno schema prevedibile, in vita.

L’Azucena di Monia Andreani, solo online

MACERATA. Causa indisponibilità della filosofa Monia Andreani, che oggi non ha potuto partecipare all’Aperitivo culturale agli Antichi forni dal titolo “Azucena madre matrigna”, nei prossimi giorni su questo sito sarà disponibile il suo intervento incentrato sul personaggio chiave de Il Trovatore di Giuseppe Verdi.

Il Va’ pensiero e la sua dimensione universale in attesa dell’ultima replica allo Sferisterio del Nabucco

MACERATA. In occasione dell’ultima replica allo Sferisterio del Nabucco anche gli Aperitivi Culturali dedicano al Va’ pensiero l’appuntamento di mezzogiorno presso gli Antichi Forni. “Va’ Pensiero e il nazionalismo musicale” è il titolo dell’incontro presenziato da Elio Matassi, ordinario di filosofia morale e direttore del Dipartimento di Filosofia all’Università Roma Tre.

Matassi ha appassionato il pubblico degli Aperitivi Culturali con la sua analisi intorno all’universo concettuale di appartenenza del Va’ pensiero. Dal particolare all’universale, passando per il nazionalismo che ha caratterizzato il Risorgimento italiano. Quando, nel 1842, Verdi portò il Nabucco alla Scala, l’atto di accusa degli ebrei contro la dominazione straniera del Va’ pensiero, venne letto in chiave antiaustriaca. Non a caso la nascita del patriottismo italiano coincide con gli albori del successo popolare di Verdi.

Il fascino della musica e del testo, abbinati alla grande notorietà del Va’ pensiero, hanno favorito un processo di appropriazione che, in alcuni casi, si potrebbe definire inadeguato. Elio Matassi non vuole addentrarsi in questioni politiche, ma non può fare a meno di citare la scelta discutibile, o quantomeno curiosa, di utilizzare come inno del partito italiano Lega Nord proprio il coro più celebre e amato delle opere di Verdi. Secondo Matassi, infatti, il Va’ Pensiero abbraccia una filosofia cosmopolita che si oppone drasticamente a un uso strumentale particolarista, ma anzi vede nell’universalità del messaggio di tutela di tutti i popoli la sua massima essenza. Usi propri e impropri di un coro utilizzato spesso come bandiera di un popolo, probabilmente perché, per sua natura, è in sé l’inno di tutti i popoli.

I Sogni son desideri, Lella Costa e Carla Moreni agli Antichi Forni

MACERATA. Come ci aspettava galleria degli Antichi Forni piena per l’aperitivo culturale “Quando la musica racconta i sogni” con l’attrice Lella Costa e la giornalista del «Sole24ore» Carla Moreni, che ha regalato al pubblico diverse anticipazioni dell’opera in scena stasera. Sogni d’una notte di mezza estate, è in scena allo Sferisterio dalle 21 con la regia di Francesco Micheli, musiche di Mendelssohn, partiture di Britten e testo di Shakespeare. Carla Moreni dà qualche suggerimento per l’ascolto: sottolinea la genialità dell’ouverture di Mendelssohn, pone l’accento sulle vocalità inventata da Britten per i personaggi, soprattutto per il quartetto degli amanti e per il coro degli artigiani, interamente costituito da uomini. Le parti del contro tenore e del soprano sono quelle che eseguono i maggiori virtuosismi, con un gusto tipicamente barocco che Britten aveva mutuato da Henry Purcell.

Sulle delicate relazioni tra uomini e donne l’intervento di Lella Costa, che con l’ironia che la contraddistingue, è in grado di sdrammatizzare la tragedia-commedia dell’amore. “Ci si innamora di chi capita, spesso di chi non ci è nemmeno simpatico. Il dramma è che viviamo l’innamoramento come un giudizio di valore: mi ama perché sono bella, buona, brava, oppure il contrario. Il dolore che si prova quando si viene lasciati è un dolore narcisistico: non si soffre per l’aver perso una persona, ma per il fatto di non contare più nulla per lei. Dobbiamo mettere da parte questa autoreferenzialità, penso che i Sogni, in questo senso, siano uno spettacolo terapeutico”

La chiusa di Micheli è una dichiarazione di amore verso la città di Macerata, città dall’atmosfera shakespeariana che racchiude nel suo alternarsi di natura e città, solitudine e partecipazione, lirismo e popolarità, tradizione e innovazione, tutta l’ambivalenza caratteristica dei drammi dell’autore inglese.

L’aure dolci del suolo natal: il Nabucco e gli ebrei maceratesi

MACERATA. Come vivevano gli ebrei italiani e maceratesi sotto lo Stato Pontificio nel 1842 e il pubblico ebreo come ha reagito alla prima del Nabucco? A queste domande ha risposto Paola Magnarelli Professore ordinario di Storia contemporanea dell’Università di Macerata, durante l’Aperitivo Culturale “Trivium judeorum: dalla scena urbana al palcoscenico”.

L’Accademia di Belle Arti di Macerata ha impreziosito l’incontro con un breve reportage fotografico sui luoghi ebraici a Macerata, che ha ispirato un lavoro in corso di pubblicazione. La lapide nel cortile del Municipio, che testimonia l’assassinio di un rabbino nel 1553, le vie Berardi, Maroni e il vicolo Casalino ci parlano ancora oggi della comunità ebrea maceratese, presente sin dal Medioevo e vivace sia dal punto di vista commerciale, culturale e lirico.

È stata infatti ricordata la spiacevole vicenda di Fortunata Polacco, soprano maceratese, che fu allontanata dalle scene dal locale delegato pontificio perché ebrea; una cacciata che fu la fortuna di Dionilla Santolini. Lo Stato Pontificio non ha imposto a Macerata, a differenza di Ancona e Senigallia ad esempio, la costruzione di un vero e proprio ghetto nel quale relegare i maceratesi ebrei che, però, vivevano nella zona circoscritta dalle tre vie sopra citate.

Un quartiere pensato per avere uno sviluppo verticale, fatto di strade anguste, dove le famiglie vivevano ammassate, per non dare troppo fastidio e, d’altro canto, anche per sentirsi protetti.

Solo dopo la metà del Settecento la comunità ebrea in tutta Italia si affaccia sulla scena urbana e sociale quando, grazie ai movimenti giacobini, si inizia ad estendere il diritto di cittadinanza anche agli ebrei.

Con la fine dello Stato Pontificio, nell’Ottocento, la comunità ebrea, che conta alcuni esponenti di spicco anche nella classe borghese, conquista visibilità anche a livello politico tra i filo-italiani.

Il Nabucco, nonostante il tema antico, rappresenta la più alta manifestazione della tendenza culturale e politica di assimilare le sofferenze bibliche del popolo ebreo alle istanze di quello italiano per la conquista dell’indipendenza. Solera e Verdi non avevano  inizialmente consapevolezza di questa similitudine ma, le centinaia di repliche a furor di popolo, dimostrano che il Nabucco è una constatazione visiva del ritorno definitivo degli ebrei sulla scena politica e urbana italiana.share

Verdi, il Trovatore e la scoperta della ferita shakespeariana

MACERATA. Andrea Panzavolta ha entusiasmato il pubblico degli Aperitivi Culturali con la sua coinvolgente analisi intitolata “Il Trovatore o la scoperta della ferita”. Spingendosi in un viaggio filosofico “dentro” le opere di Verdi, l’intellettuale Panzavolta, è partito da Il Trovatore per rintracciare corrispondenze ed estraneità di senso con altre opere del genio di Busseto.

La dimensione della contemporaneità del male, che paralizza l’atmosfera dell’opera, suggerisce una percezione di stadio di assedio permanente che non lascia intravedere vie di uscita. I protagonisti, incapaci di riconciliarsi con il passato, rimangono incatenati al male patito e provocato e sono impossibilitati a guardare avanti.

L’unica breccia a questo manto lugubre che avvolge l’intera trama, è rappresentata dalla figura di Leonora, che si ritrova, suo malgrado, trascinata negli eventi dalla cecità di chi le sta accanto. Il suo linguaggio appare come un qualcosa di estraneo, senza possibilità di comprensione alcuna, e non l’aiuta a salvarsi dalle tenebre che la travolgono, ma non la vincono.

Il male, che è inculcato nella trama de Il Trovatore, diviene, per Verdi, un motivo di riflessione anche in numerose altre sue opere. L’emblema di questa ricerca dolente è, secondo Panzavolta, identificabile nella personalità controversa di Iago, che, nell’Otello, non compie il male con pathos, ma con un cinico distacco, quasi come se stesse rincorrendo la soddisfazione di un mero bisogno artistico.

Da questa ampia analisi è facile riconoscere come Verdi abbia subito le influenze del teatro shakespeariano che ritrae un mondo abbandonato da Dio, in cui tutto è alla deriva. Questa, secondo Panzavolta, è la scoperta della ferita che ne Il Trovatore smette di sanguinare solo quando tutti sono morti.

Dal Trovatore di Verdi ai cantuatori da stadio

MACERATA. Cosa accomuna Manrico a grandi nomi come Bob Dylan, Springsteen o Patti Smith, la sacerdotessa del rock che ha fatto scatenare lo Sferisterio? Un percorso affascinante alla ricerca di questo legame, tra la figura del trovatore e del cantautore, è stato il tema dell’Aperitivo Culturale che ha visto ospite, per il secondo anno, Simonetta Chiappini. Filosofa e profonda conoscitrice del melodramma italiano, ha guidato il pubblico lungo un ricchissimo excursus storico.

La figura del trovatore occitano, che nel medioevo metteva in musica e cantava le proprie poesie d’amore, con i secoli, nell’immaginario collettivo si ibrida con le figure del menestrello e del giullare. Il romanticismo ottocentesco riprende poi questa figura e ne fa il soggetto principale del melodramma romantico: Manrico è un fuori casta che ricerca nell’amore la via del riscatto sociale.

Nella seconda metà del Novecento il cantautore moderno evolve, pur mantenendo i caratteri di trasgressione e idealità: non ambisce più alla sacralizzazione dell’amore, ad essere cavaliere servente, ma si concentra sui temi politici e sociali divenendo cantore degli ultimi. Il cantautore ancora oggi è un continuatore della tradizione orale che si esprime con la tradizione folck, popolare e rock dove la chitarra sostituisce il liuto e la viella. In Italia non possiamo non ricordare i compianti Jannacci, Gaber, Tenco e De Andrè, considerato l’ultimo trovatore.share

Verdi e Wagner se le danno di santa ragione: per Principe alla fine è knock-out

MACERATA. Un incontro surreale tra due boxers d’eccezione, i grandi Maestri Verdi e Wagner, si è svolto sul ring immaginario dell’Aperitivo Culturale dal titolo “Verdi vs Wagner: un incontro alla pari?”. Giudice del match il divertente e acuto saggista e musicologo Quirino Principe che ha analizzato questo duello tra due estetiche fomentato, in realtà, più dagli studiosi che dai due compositori.

Sebbene Verdi abbia preso posizioni su Wagner parlandone spesso anche nei suoi carteggi, Wagner non si espresse mai sul Maestro di Busseto anche se assistette alla prima del Requiem di Verdi a Vienna nel 1874.

Due giganti accomunati sia dall’anno di nascita, e dal conseguente bicentenario, che da un percorso artistico parallelo fatto di trionfi e momenti di declino molto simili. Per Principe però esiste una profonda differenza dal punto di vista fenomenologico che fa di Wagner il vincitore di questo incontro di boxe immaginario.

Entrambi hanno reso grande la musica “forte” (al professore non piace il termine “classica”) ma ad un estimatore di Wagner la musica di Verdi può sembrare leggermente superficiale perché manca quel filtro riflessivo che permette il salto, presente ad esempio nel Parsifal, dall’Eros all’Agape, cioè dall’innamoramento per la bellezza all’amore totale, tipico del rapporto genitore-figli. Un balzo dal musicare le passioni alla filosofia nella musica che, secondo Principe, Verdi non ha mai realizzato allo stesso livello di Wagner.share